Per una pedagogia dello sguardo/1 – Uno sguardo “commosso”


Comincio oggi, una serie di riflessioni su ciò che, secondo me, dovrebbe innescare un profondo cambiamento nel nostro stile di vita, che segni un punto di rottura con quello che la Pandemia ha fatto emergere come sbagliato e più infetto del virus che stiamo combattendo.

Viviamo in un mondo segnato da profondi e frenetici cambiamenti. Tutto appare come passeggero e provvisorio, passeggero. Uno stato continuo di trasformazione che si ripercuote anche in campo etico e, quindi, educativo. La frenesia del cambiamento sta investendo ogni campo della vita personale e sociale, rischiando di perdere riferimenti e valori che possano guidare le scelte quotidiane. Tutto ciò può essere colto come problematico, preoccupante e, alla lunga, angosciante tanto da generare un atteggiamento di rinuncia e sconfitta, cominciando a pensare che la persona non ha la forza di correre dietro tutti questi cambiamenti che corrodono, pian piano, la base di ogni vivere sociale. Si rischia così di ingenerare un atteggiamento di quieta indifferenza, che ci fa diventare ciechi di fronte all’altro che soffre o che, semplicemente, mi passa accanto. Diviene, così, pensiero comune che ciò che accade attorno non è di nostro interesse, chiudendoci in un egoismo ancora più cieco. È anche vero, però, che tutto questo può essere colto come una sfida, un potenziale stimolo a ripensare e a ridefinire nuove basi per le relazioni e per la vita sociale perché tutto ciò segni un vero e profondo cambiamento orientato ad uno sguardo attento, capace di lasciarsi coinvolgere dal bene e dall’accoglienza di tutto ciò che nuovo, diverso, inedito.

Piangersi addosso allora, o rischiare di vivere il cambiamento come un rinnovamento interiore, relazionale e sociale? Credo sia vitale scegliere il rischio del cogliere la novità del cambiamento, piuttosto che la sicurezza del già noto che ci impantana nella rinuncia e nell’egoismo indifferente.

Perché questo avvenga, però, è necessario educarci ed educare i giovani ad un nuovo modo di “guardare” la realtà. È urgente pensare percorsi che ci abilitino ad uno sguardo attento, appassionato, verso la realtà in cui siamo immersi e ci muoviamo, senza più pensarlo come una scenografia che nulla ha a che fare con me. È importante lasciarci coinvolgere.

Mi piace pensare, come prima cosa, che lo sguardo che dovremmo posare sulle persone e sulla realtà di cui siamo parte, debba essere uno sguardo commosso. Il termine ha una sua etimologia molto chiarificatrice: “muoversi con”. Uno sguardo “commosso” implica, dunque, il camminare insieme. Rimodulare il nostro passo con quello delle persone che incontriamo, con gli eventi che attraversano la nostra vita, facendo in modo che non ci passino più accanto, ma lasciandoci coinvolgere. Uno sguardo che, perché possa commuoversi deve passare, cioè, dal semplice guardare con distrazione e indifferenza, ad un osservare attento, interessato, che si com-muova verso un prendersi cura.

Abilitiamo, dunque, il nostro guardare ad un’attenzione attiva che ci com-muova ogni volta che incontriamo l’altro: scorgeremo così, mute richieste di aiuto, di ascolto o di semplici sorrisi che dicano, senza tante parole, “Ti vedo”.

8 pensieri riguardo “Per una pedagogia dello sguardo/1 – Uno sguardo “commosso”

  1. Rieccomi! Il tuo post mi ha ispirato una domanda che spero non risulti indiscreta: di tutti i cambiamenti che hai dovuto affrontare nella tua vita, qual è stato il più positivo in assoluto?

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    1. Ciao. Ti rispondo con un po’ di ritardo. Sicuramente quello più positivo è stato un dover rivoluzionare la mia vita a causa di alcune scelte che ho voluto fare. Rinnovata nonostante la sofferenza di alcuni tagli necessari!

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